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La raccolta fondi: Aiutami, per le cure mediche, e per curare la mia casa... Aiutami a vivere, aiutami a sperare in un futuro dignitoso!

Aggiornamento: 3 giorni fa

Con il tuo aiuto, tutto può davvero cambiare!


Cari amici, sostenitori e persone dal cuore generoso,

Mi chiamo Alessandro, ho trent'anni, un'età in cui si dovrebbero inseguire sogni, costruire progetti, vivere a pieno ogni istante. Invece, la Spondiloartrite Anchilosante Sieronegativa, mi ha prosciugato tutte le forze e le speranze, ha trasformato la mia vita in una incessante battaglia contro il dolore cronico e le limitazioni fisiche, costringendomi ad adempiere a spese mediche esorbitanti e dover sopportare costanti e importanti rinunce, impedendomi di vivere una vita come quella di molti trentenni pieni di progetti e sogni per il futuro.

Io, quei sogni, non riuscirò mai a realizzarli, perché le prospettive annunciano una costante degenerazione, e i dolori cronici sono così lancinanti che paralizzano le mie giornate, segregandomi in una condizione dalla quale non posso uscire. Non con le mie sole forze.


Scrivo con l'animo colmo di speranza, ma anche con la profonda consapevolezza della mia vulnerabilità. Non avrei mai pensato di dover chiedere aiuto pubblicamente. Sono sempre stato una persona abituata a dare, non a ricevere.

Ma oggi, con umiltà e la forza della disperazione, sono costretto a rivolgermi a voi. Non è facile mettere a nudo la propria sofferenza, ma sento che la mia storia ha bisogno di essere raccontata.

Non solo per me, ma per la mia compagna, che da quasi nove anni condivide questo viaggio tormentato. Una compagna che è diventata il mio faro in questa tempesta.

Insieme, abbiamo affrontato prove che sembravano insormontabili, ma ora siamo a un bivio dove il vostro sostegno potrebbe fare la differenza tra la speranza e la resa.


A causa della gravità della mia condizione, non posso più lavorare, non posso muovermi liberamente, non posso vivere senza aiuto, e la mia compagna di vita è la mia unica fortuna, la mia roccia, la mia caregiver, è la mia unica fonte di sostegno, ed è costretta a lavorare solo part-time per starmi accanto ed aiutarmi nelle attività quotidiane.

Le nostre limitate risorse coprono però a malapena le spese quotidiane e solo alcune delle terapie di cui ho bisogno.


La casa dove viviamo, non è un confortevole rifugio, ma un percorso a ostacoli dove ogni movimento, ogni gesto, anche il più elementare e il più banale, come farmi la doccia, mi risulta impossibile, per via dei mancati ausili e delle mancate attrezzature che la mia patologia richiederebbe.



Per questo chiedo il vostro aiuto. Anche piccolo, anche simbolico. Anche una minuscola donazione può fare per me una grande differenza.


E se non potete donare, almeno condividete questa raccolta fondi: il passaparola è potente e importantissimo per me!



L’Obiettivo:

I fondi raccolti saranno impiegati in due direzioni fondamentali:

• Spese Mediche: Coprire almeno in parte le spese mediche per le cure quotidiane (terapie fisiche, visite continue, farmaci non coperti dal Sistema Sanitario Nazionale) essenziali per il mio benessere.

• Ristrutturazione della casa: Per creare un ambiente sicuro e stabile, riadattato alle mie esigenze, dove poter vivere dignitosamente. Affrontare lavori di ristrutturazione necessari (impianti, consolidamenti, infissi nuovi, adeguamenti degli spazi) con un investimento mirato e trasparente, del quale pubblicherò preventivi e ricevute.


Cosa mi serve per sopravvivere e per respirare un po’ di normalità?

• Una cucina funzionale, sicura, senza pericoli.

• Almeno un bagno attrezzato con sostegni adeguati.

• Il gas diretto in casa, perché ora uso una bombola che non posso nemmeno trasportare.

• Balconi e infissi sistemati per ridurre umidità e freddo, che peggiorano la mia malattia.

• Cure mediche che il Sistema Sanitario Nazionale non copre.



Con i bonus edilizi 2025, posso recuperare fino al 50% di alcune spese, in detrazione fiscale. Per questo è fondamentale iniziare entro dicembre di quest’anno: dal 2026, queste agevolazioni verranno ridotte o eliminate. Per noi sarebbe la fine: non potremmo più permetterci nulla.


Condividete la mia storia e aiuta a diffondere questa visione: insieme possiamo trasformare la mia speranza in realtà.


Leggete di più... dopo queste foto ⬇️


Queste le attuali condizioni in cui "viviamo":


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La mia battaglia contro la Spondiloartrite Anchilosante

Fin dall’adolescenza la mia vita è stata segnata da una sfida dolorosa e invisibile: convivere con una grave malattia autoimmune, la Spondiloartrite Anchilosante Sieronegativa. Una diagnosi che ha trasformato ogni giorno della mia esistenza in una lotta incessante contro un nemico silenzioso, che consuma il corpo e logora la mente.

Col tempo, i sintomi si sono moltiplicati e si sono sommate varie copatologie.

Ho affrontato un'infinità di visite mediche, esami, e consulti con specialisti di ogni tipo: reumatologi, immunologi, urologi, dermatologi, neurologi e genetisti. Ma troppo spesso il mio dolore veniva minimizzato, scambiato per “esagerazione" o ridotto a un problema psicologico.

Non è mai facile vivere una malattia “invisibile”, soprattutto quando chi ti sta intorno fatica a comprendere cosa significhi convivere ogni giorno con un dolore che non si vede, ma ti paralizza.


Dopo anni di estrema sopportazione, sofferenza e incertezze diagnostiche, dopo un pellegrinaggio estenuante tra dotti, medici e sapienti, che si sono dimostrati, purtroppo, inadeguati e inefficaci, ho trovato la forza di rivolgermi a un Centro di Eccellenza in Reumatologia al Policlinico Le Scotte di Siena. Lì, finalmente, sono stato ascoltato, compreso. Sono stato sottoposto a una serie di esami approfonditi e consulti specialistici mirati, che hanno portato a una diagnosi chiara.


Anni di sofferenza, tra visite, esami e attese, poi la diagnosi è arrivata: una forma molto aggressiva di Spondiloartrite Anchilosante, in forma sia assiale che periferica, una grave patologia autoimmune reumatica e degenerativa, che ha già compromesso gravemente la mia colonna vertebrale. Da ormai cinque anni sono costretto ad indossare un busto steccato per riuscire a stare seduto o in piedi, e da oltre un anno cammino solo con il supporto di un bastone.

Ogni movimento per me è una fatica immensa. Sopporto quotidianamente i dolori dell’artrite, fibromialgia, miastenia, discopatia, sacroileite e osteoporosi. Ogni ernia, spasmo o nevralgia è un colpo in più inferto a un corpo già stremato, e che hanno spento la mia voglia di vivere e di lottare.


Le azioni più banali, gesti quotidiani come allacciarmi le scarpe, reggere un ombrello o sistemarmi i capelli, si trasformano in sfide estenuanti. Il dolore si irradia dalla schiena al collo, dalle braccia fino alle dita, spesso gonfie e dolenti. Camminare richiede una forza smisurata: le gambe sono pesanti come piombo, la schiena genera una pressione costante e insopportabile. Dopo pochi minuti in piedi, rischio di cadere: devo subito cercare un appoggio o sedermi.


Ho un’invalidità riconosciuta dall’INPS solo al 75%, ma non basta a coprire le necessità di una vita che si fa ogni giorno più difficile. La pensione di 343 euro al mese è ridicola, una cifra insufficiente e ben lontana dal coprire le mie necessità, perché la malattia mi impone visite mediche continue, farmaci, integratori, fisioterapia 2-3 volte a settimana e altre terapie complementari.


Nonostante abbia affrontato con determinazione tutte le terapie attualmente disponibili e supportate dalla letteratura scientifica, i risultati sono stati deludenti. Il mio sistema immunitario continua a non rispondere in modo adeguato.

È una realtà difficile da accettare, ma il decorso della malattia è ormai considerato irreversibile. La perdita progressiva dell’autonomia è già in atto, e la prospettiva di una sedia a rotelle, o di restare allettato con atroci dolori, non è più un’ipotesi remota, ma una certezza che si avvicina ogni giorno di più.


Nonostante i numerosi consulti specialistici e le terapie farmacologiche antidolorifiche ad alto dosaggio che già assumo quotidianamente, convivo con il dolore cronico, profondo, diffuso in ogni parte del corpo e spesso insopportabile.

Al momento, non esistono cure risolutive per la mia patologia, e l’unica possibilità terapeutica consiste nel cercare di contenere il dolore cronico per migliorare la qualità della mia vita.


La scienza, per quanto avanzata, ha ancora dei limiti, soprattutto di fronte a condizioni rare e complesse. Ed è proprio per questo che oggi ho bisogno di aiuto: perché la mia unica speranza è rappresentata dalla possibilità di mantenere un minimo di qualità della vita, mentre la malattia avanza.



Accanto a me, per fortuna, c'è la mia compagna. Da quasi nove anni mi sostiene con una straordinaria dedizione e un amore incondizionato. Pensa alle faccende domestiche, gestisce la spesa, la cucina, e mi assiste in ogni mia necessità, anche le più intime, come fare la doccia o aiutarmi a vestire, nei giorni più difficili. Si prende cura di me, ogni giorno, senza alcun aiuto. Ma anche lei è stremata.

Eppure non mi ha mai lasciato, nemmeno quando io stesso non mi sarei voluto accanto. Il peso più grande che porto nel cuore è il senso di colpa nei suoi confronti. Meriterebbe una vita serena, una quotidianità senza sacrifici, e invece ha rinunciato a tutto per starmi accanto. Lei è stata la mia salvezza. E se oggi sono ancora qui, è solo grazie a lei.



Entrambi non abbiamo avuto famiglie pronte a sostenerci. La nostra unica famiglia è quella che abbiamo costruito insieme, e il pensiero di perderla mi terrorizza.

 

Non ho mai potuto contare su quella che si definirebbe una famiglia tradizionale: non c’è mai stato un nucleo saldo, affettuoso, in cui rifugiarsi o su cui fare affidamento. Al contrario, mi sono trovato immerso in una realtà familiare profondamente disfunzionale, dove gli unici tratti davvero condivisi erano l’egoismo, la superbia e il narcisismo, marcando una totale assenza di cautela e buon senso. Un sistema in cui il mio valore coincideva con la mia utilità.

Nel mio caso, il rifiuto costante e la non accettazione della mia condizione, risale all’adolescenza, quando a soli quattordici anni iniziarono a manifestarsi i primi segnali della malattia. In quel momento, forse il più delicato e cruciale per qualsiasi essere umano, la mia famiglia ha deciso, consapevolmente o meno, di voltarmi le spalle con egoismo e indifferenza. Non parlo di semplici incomprensioni, ma di una forma più profonda e corrosiva di abbandono, di una negazione sistematica, che col tempo si è fatta ostilità aperta. Ogni volta che ho provato a farmi capire, a chiedere una mano, sono stato ridicolizzato, accusato, ignorato.

 

Nonostante la gravità della mia situazione sia stata ormai ampiamente riconosciuta, purtroppo non riceviamo alcun supporto concreto da parte di chi ci circonda. Al contrario, spesso siamo stati oggetto di giudizi e critiche, etichettati come parassiti, come se convivere con una malattia invalidante fosse una scelta o un comodo pretesto. Da parte loro di fatto non abbiamo mai ricevuto sostegno: né economico, né emotivo, né umano. E ormai è chiaro che non potremo mai contarci.

 

Pur di non ammettere il proprio fallimento preferirebbero vedermi morire, piuttosto che vedermi stare meglio, invece di riconoscere gli errori commessi, scusarsi, e forse riparare, almeno in parte, la mia sofferenza.

Scriverlo è necessario. Purtroppo la mia famiglia non solo non mi ha mai sostenuto, ma ha troppe volte rappresentato un ostacolo concreto alla mia possibilità di guarigione, di affermazione, perfino di semplice esistenza. Mi sono stati negati l’accesso alle cure, l’affetto, la fiducia, la possibilità di essere guardato con dignità. Questo peso emotivo, sommato alla fatica fisica della malattia, è diventato nel tempo un fardello insostenibile.

 

La mia compagna ed io siamo completamente soli ad affrontare tutto. La nostra unica famiglia è quella che abbiamo creato insieme, fatta di fragilità, ma anche di un amore che non ha mai vacillato.



Ho cambiato diversi lavori nel corso degli anni, cercando di adattarmi alle crescenti limitazioni fisiche. Nella mia zona, trovare lavoro è già difficile di per sé, ma trovare un'occupazione compatibile con la mia condizione si è rivelato quasi impossibile. Ho fatto centinaia di colloqui nel vano tentativo di trovare un lavoro che non fosse del tutto incompatibile con la mia salute. Ma è comprensibile pensare che nessuno mi assumerebbe sapendo che, in un qualsiasi giorno, potrei non presentarmi perché non riesco nemmeno ad alzarmi dal letto.


Negli anni più recenti quindi, riadattandomi ulteriormente alle mie limitazioni, ho provato a reinventarmi come grafico freelance, lavorando al computer, pensando che fosse una delle poche attività che avrei potuto svolgere da casa. Mi rivolgevo a piccole attività come bar, ristoranti, organizzatori di eventi, proponendomi per la realizzazione di menù, locandine e materiale promozionale. Ero meticoloso e preciso, e i clienti apprezzavano il mio lavoro. Ma, nonostante l’impegno, i guadagni erano minimi. Servivano ore o a volte intere settimane per completare un progetto, e i compensi erano spesso irrisori.

Nel frattempo, con il progredire della malattia, anche i movimenti più semplici sono molto lenti e limitati, e le attività che richiedono sforzi fisici prolungati o posizioni statiche sono diventate impossibili, traducendosi conseguentemente in dolori debilitanti che mi perseguitano poi per ore, a volte per giorni successivi.


Vivere con una malattia cronica significa imparare a misurare ogni singolo movimento, ogni sforzo, ogni minima azione quotidiana.

Anche solo stare seduto alla scrivania per un'ora, e ci riesco a stento, mi provoca forti dolori e un bruciore intenso, soprattutto alla schiena, che si irradia poi al collo e fino alle mani, causando spasmi e crampi lancinanti alle articolazioni, i quali mi lasciano esausto per le ore successive. Usare il mouse per troppo tempo comporta dolori acuti alla mano e all’avanbraccio, costringendomi a fermarmi continuamente. Mantenere la posizione seduta è diventata insostenibile. Magari cambio spesso posizione ogni minuto, oppure mi alzo e faccio qualche passo per casa, ma nonostante i ripetuti tentativi di alleviare i dolori, il sollievo è minimo e fugace.

Indossare il busto, pur dando un minimo sostegno, limita ulteriormente i miei movimenti. La compressione che esercita sull’addome, rende ancor più intollerabile la posizione seduta, trasformando ogni momento in un’afflizione. Mi toglie il respiro e le stecche affondano nella carne dell'addome, rendendo impossibile concentrarsi, mantenere una postura accettabile e lavorare in modo continuativo ed efficace.

Ho dovuto fare i conti con questa realtà: lavoravo per quattro spicci, lavoravo nel dolore, provocandomi altro dolore. Era diventato quasi un atto di masochismo.

Alla fine sono stato costretto a rinunciare anche a quelle poche ore di lavoro come grafico che, per quanto mi dessero un guadagno minimo, mi permettevano di contribuire alle spese quotidiane e di sentirmi ancora, almeno in parte, utile.



Una casa inadatta alla vita, un’urgenza impossibile da rimandare.

Scrivere queste righe è già un’umiliazione enorme. Ma il bisogno è più grande della vergogna. La verità è che qui, nella situazione attuale, io sto peggiorando ogni giorno.

La casa in cui viviamo, di proprietà di mio padre, è un appartamento degli anni ’60, vecchio, trascurato e inadeguato per le mie condizioni di salute.

Questa casa è fredda, umida, malsana. I balconi in ferro, arrugginiti, non si chiudono e col vento si spalancano e lasciano filtrare tutta l’umidità e le correnti gelate dell’inverno, trasformando ogni stanza in una trappola per il mio corpo già così fragile, aumentando un perenne stato d’infiammazione.

In casa c’è muffa, e l’umidità ha raggiunto livelli insostenibili. Per una persona sana sarebbe già un problema. Per me, con una malattia autoimmune grave e cronica come la Spondiloartrite Anchilosante, è un vero incubo. È un ambiente tossico che accelera il peggioramento della mia salute.

La ristrutturazione non è un'opzione: è una questione di sopravvivenza e dignità.


Dovrei rifare i due bagni, realizzati in modo maldestro, che sono inadatti a chi, come me, ha bisogno di spazi accessibili più ampi, quindi senza alcun gradino, e ho la necessità di riposizionare i sanitari per poter installare una maniglia o dei supporti fondamentali, per muovermi e lavarmi.

In uno dei due, devo poter installare una doccia nuova, con una seduta sicura, per non rischiare di cadere ogni volta. Forse non riuscirò comunque a lavarmi da solo, ma potrei almeno evitare di pesare completamente sulla mia compagna.


Anche la cucina è in condizioni pietose. Vecchia, mal progettata e usurata, priva dei pensili necessari e dei tramezzi, trasferita qui da un’altra abitazione vent’anni fa, rimontata senza rispettare alcun criterio ergonomico o funzionale. Non abbiamo nemmeno il minimo spazio necessario per fruire comodamente delle poche cose di cui avremmo bisogno. Mai siliconata nelle giunture dei moduli, lasciando che si annidi sporco là dove non potremo mai pulire a dovere. Andrebbe sistemata da zero, cambiando i moduli e riorganizzando gli spazi. Alcuni elettrodomestici non sono ben funzionanti, come il frigorifero e il forno in particolare che hanno più di trent'anni, e sono da cambiare.


Dobbiamo inoltre eliminare una stufa a legna ormai fuori uso, e realizzare finalmente l’allaccio del gas al terzo piano. Al momento viviamo senza riscaldamento, e l'acqua calda dipende da una bombola di gas che ogni mese qualcuno deve salire a montarmi. È pericoloso, è faticoso, ed è profondamente umiliante.


Non c’è uno spazio della casa dove non ci sia una pezza o un compromesso, ogni angolo racconta di soluzioni provvisorie e dei limiti imposti.

Per noi, è insostenibile continuare così. Ho bisogno di una soluzione stabile, sicura, dignitosa.


La malattia già mi impone mille sacrifici ogni giorno. Almeno in casa, dentro la quale sono costretto a stare la maggior parte delle mie giornate, è una necessità vitale dover ridurre i sacrifici imposti dalle soluzioni improvvisate in ogni angolo.



Il tempo stringe: entro il 2025 posso ancora accedere ai bonus edilizi.

Il tempo da sempre è il mio nemico numero 1.

Ma c’è un’urgenza ancor più concreta: entro la fine del 2025 sarà ancora possibile usufruire di bonus edilizi che permetterebbero di recuperare fino al 50% delle spese sostenute, attraverso le detrazioni fiscali previste per la riqualificazione energetica e la sanatoria edilizia. Dal 2026, queste agevolazioni verranno ridotte o eliminate. Per noi sarebbe la fine: non potremmo più permetterci nulla.


Non chiedo solo per me: chiedo per amore!

Scrivere tutto questo è stato difficile. È per me un’umiliazione profonda, ma il bisogno supera la vergogna. Non sto chiedendo un lusso: sto chiedendo per una casa che non mi faccia ammalare ancora di più. Una casa dove poter sopravvivere con un minimo di dignità, e ridare un po’ di libertà a chi mi ama.


Ciò che mi spinge a scrivere queste parole e a chiedere aiuto, mettendoci la faccia, è soprattutto la volontà di dare qualcosa indietro a chi, per amore, ha sacrificato tutto: Annalisa, la mia compagna, ha rinunciato letteralmente a tutto, pur di restare al mio fianco.

Ha lavorato duramente, si è presa cura di me ogni giorno, ha scelto di vivere con me anche in queste condizioni, anche in questa casa. Merita molto più di quello che ha ricevuto. Merita un ambiente sano, pulito, funzionale. Merita, finalmente, di respirare.


E forse, in fondo, anche io merito qualcosa. Merito di potermi sedere in una stanza calda senza tremare. Di potermi lavare senza umiliarmi. Di potermi sentire sicuro, almeno dentro casa mia. Merito, forse, di gioire ancora delle piccole cose, come aprire un armadio senza che tutto cada fuori, o sentire il profumo del pulito, invece della muffa. Merito una casa vera, non un cumulo di pezze, arrangiamenti e compromessi.

Voglio poter vivere senza sentirmi un peso, e voglio farlo accanto alla persona che ha dato tutto per me.


Questa casa, così com’è ora, non è un rifugio. È una prigione.


So di chiedere tanto. Ma ogni singolo euro donato, sarà usato con cura e gratitudine per la ristrutturazione parziale della mia casa e per le mie spese mediche essenziali. Ogni contributo è una scintilla di speranza, per riuscire a costruire una nuova vita.

So bene che questa richiesta è impegnativa. So che sto chiedendo molto. Ma ogni euro che verrà donato sarà destinato a un bisogno reale, concreto, urgente. Non chiedo per un lusso. Chiedo per sopravvivere. Chiedo per vivere con dignità. E chiedo per amore.


Se vorrete aiutarmi, se vorrete anche solo condividere sui social questa raccolta fondi, se vorrete essere parte di questo cambiamento, vi sarò eternamente grato. Perché non mi state solo aiutando a sistemare quattro mura. Mi state aiutando a ricostruire una vita.



Scrivere è il mio atto di resistenza

Accettare la malattia non significa arrendersi, ma imparare a convivere con essa. Le numerose perdite che ho subito: la salute, le certezze, una vita normale, hanno cambiato profondamente la mia esistenza. Ma non voglio farmi annientare da questo dolore.


Questa testimonianza è solo l’inizio. Vorrei trasformarla in un libro più ampio, un’autobiografia che raccolga il mio vissuto, i miei sogni, le mie perdite e le mie lotte. Un racconto che vada oltre la malattia, che sia un viaggio interiore nel dolore, ma anche nella forza e nella speranza.

Scrivere queste righe è stato per me una forma di resistenza, un modo per dare voce a ciò che spesso resta nascosto e inascoltato. È il mio modo di lottare contro il silenzio e la rassegnazione.


Aiutami a vivere, aiutami a sperare. Con il tuo aiuto, tutto può davvero cambiare!

 
 
 

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